Il buono pasto rappresenta una soluzione comoda e fiscalmente efficace anche per i liberi professionisti, titolari di partita IVA, portando il vantaggio pratico di avere poche fatture (a ogni acquisto di buoni, infatti, ne corrisponde una) e di poter gestire la contabilità con maggior facilità.
Quella dei buoni pasto per i liberi professionisti è una lunga e complessa storia tipicamente italiana, fatta di una precedente normativa profondamente ingiusta, seguita da una procedura di infrazione attivata a livello UE nei nostri confronti e quindi da un intervento normativo che ha “risolto” la questione in maniera, a mio modo di vedere, discutibile.
La normativa, infatti, prevede l’utilizzo dei buoni pasto anche per coloro che non si avvalgono di dipendenti, permettendo di detrarre il 75% delle spese e tutta l’IVA (al 10%1), fino ad un importo massimo pari al 2% complessivo del fatturato.
I principali riferimenti normativi relativi ai buoni pasto per liberi professionisti sono rintracciabili nel D.L. 25 giugno 2008 (convertito con modificazioni nella legge 6 agosto 2008, n. 13) e successivamente in due Circolari dell’Agenzia delle Entrate2, attraverso le quali sono stati forniti chiarimenti in merito alle modifiche normative apportate al regime fiscale delle prestazioni alberghiere e delle somministrazioni di alimenti e bevande3.
Com’è noto, con effetto dal 1° settembre 20084, è stata eliminata la previsione di indetraibilità oggettiva disposta per le prestazioni alberghiere e di ristorazione: l’intervento normativo è stato realizzato al fine di eliminare il contrasto tra la normativa nazionale e l’articolo 168 della direttiva 2006/112/CE del 28 novembre 2006 che aveva indotto la commissione UE ad attivare la procedura di infrazione n. 2006/5040.
Si rammenta, peraltro, che la norma italiana che limitava il diritto alla detrazione era stata già oggetto di modifiche che ne avevano ridotto di molto l’ambito di applicazione
L’IVA detraibile non può, naturalmente, costituire un costo ai fini della determinazione del reddito.
A questa novità fa però da contraltare la modifica5 al regime di deducibilità dei costi relativi alle prestazioni alberghiere e di ristorazione ai fini della determinazione del reddito d’impresa e del reddito di lavoro autonomo, controbilanciando così l’apertura concessa alla detraibilità dell’IVA.
Buoni pasto per liberi professionisti: deducibilità ai fini delle imposte sul reddito
In materia di imposte sul reddito, l’articolo 83, comma 28-quater del D.L. già citato introduce restrizioni alla deducibilità dei costi sostenuti per prestazioni alberghiere e di ristorazione.
A tal fine modifica l’articolo 54, comma 5 del TUIR, concernente la determinazione del reddito di lavoro autonomo e l’articolo 109, comma 5, del medesimo testo unico, concernente la determinazione del reddito d’impresa.
Per il reddito di lavoro autonomo, a seguito di un’ulteriore modifica6, la normativa ci dice che: “Le spese relative a prestazioni alberghiere e a somministrazione di alimenti e bevande sono deducibili nella misura del 75 per cento e, in ogni caso, per un importo complessivamente non superiore al 2 per cento dell’ammontare dei compensi percepiti nel periodo d’imposta”.
Si introduce, quindi, un ulteriore limite di deducibilità nella misura del 75% anziché del 100% come da precedente formulazione e, in ogni caso, per un importo complessivamente non superiore al 2% dell’ammontare dei compensi percepiti nel periodo d’imposta.
Considerato che la disposizione assume carattere di regola generale, la stessa deve trovare applicazione anche quando detti costi si configurino alla stregua di spese di rappresentanza.
Lo stesso comma 5 dell’articolo 54 del TUIR ne consente la deducibilità nei limiti dell’1% dei compensi percepiti nel periodo d’imposta.
Si ritiene quindi che la limitazione al 75% della deducibilità dei costi per prestazioni alberghiere e somministrazione di alimenti e bevande debba trovare generale applicazione, a prescindere dalla finalità per cui la spesa relativa venga sostenuta.
Le modifiche introdotte dal decreto-legge in materia di IVA non riguardano, tuttavia, le prestazioni alberghiere e di ristorazione qualificabili come spese di rappresentanza, per le quali continua a trovare applicazione la specifica previsione di indetraibilità di cui all’articolo 19-bis1, comma 1, lett. h) del D.P.R. n. 633 del 1972.
Note:
- D.L. 112/2008, art. 83, comma 28 bis
- Circolare n 53/e del 5 settembre 2008 e Circolare n° 6/e del 3 marzo 2009
- introdotte dall’art. 83, commi da 28-bis a 28-quater, e dal già citato D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133
- art. 83, commi 28-bis e 28-ter del D.L. 25 giugno 2008, modificando l’art. 19-bis1, comma 1, lett. e) del D.P.R. n. 633 del 1972
- comma 28-quater, dell’art. 83
- apportata dal decreto-legge, l’articolo 54, comma 5, primo periodo, del TUIR